«Che alcuno non se parta della terra d’Arquata e suo contado con animo de non ritornare a detta terra»

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Eretici e streghe

Nel Medioevo era diffusa la credenza che il mondo fosse popolato di streghe e stregoni che quotidianamente attentassero al tranquillo scorrere della vita civile. Era talmente radicata la convinzione che la loro nefasta opera potesse in qualche modo danneggiare le persone “normali” che venivano celebrati processi sulla base di semplici accuse senza necessita che le stesse fossero provate. A volte, era sufficiente un comportamento anomalo per “dimostrare” la presenza del diavolo nel corpo del malcapitato accusato. I processi spesso terminavano con la condanna a morte del presunto reo; la sentenza veniva eseguita facendo bruciare il condannato sul rogo, alla presenza del popolo. Era una pratica tanto diffusa che ancora oggi si usa, nel linguaggio corrente, 1’espressione “caccia alle streghe” per indicare un clima di repressione e di sospetto.

Queste pratiche furono diffuse nel ‘500 e nel ‘600, ma prima (XIV sec.) c’era stata un’altra persecuzione, quella contro gli eretici o presunti tali; per quelli che si ponevano al di fuori della Chiesa o che osavano predicare contro le gerarchie ecclesiastiche la punizione era terribile: la morte tra le fiamme “purificatrici” del rogo. La terra di Arquata è interessata in entrambi i casi, perché sono arquatani due personaggi che hanno subito processi e, in un caso, la condanna a morte nel corso di processi inquisitori.

Molti credevano che vi fossero persone dedite alle pratiche magiche della stregoneria. Mediante l’uso di erbe psicotrope e con riti le cui origini affondavano in antiche cerimonie pagane, streghe e stregoni, che trovavano credito presso le popolazioni meno colte, specie nelle campagne, si riunivano nei cosiddetti sabba, per dare corso alle loro pratiche.

I riti erano vietati dalla legge ma spesso tollerati, almeno fino alla fine del XIII secolo, quando, dietro l’insegnamento della Chiesa, si cominciò a considerare la stregoneria opera del demonio e, pertanto, esecrabile. Si diffuse così la convinzione che le streghe fossero esseri malefici e che, nelle riunioni periodiche, si celebrassero riti orgiastici, infanticidi rituali e atti sessuali con la partecipazione diretta del Diavolo.

A partire dal XIV secolo, la stregoneria fu equiparata all’eresia e quindi sottoposta al controllo della Santa Inquisizione. I metodi che venivano usati dal tribunale ecclesiastico sono ben noti: gli inquisiti, dopo essere stati sottoposti ad ogni genere di violenza fisica e psicologica, “confessavano” i delitti dei quali erano imputati e, nella maggior parte dei casi, erano condannati al rogo. La “giustificazione” delle torture alle quali venivano sottoposte le presunte streghe era che uno dei loro caratteri distintivi consisteva nella presenza, sul loro corpo, di una zona insensibile, la ricerca della quale legittimava le torture cui venivano sottoposte.

Solo nel ‘700, grazie alla nuova cultura illuminista, venne data una spiegazione razionale dei fatti e gli atteggiamenti stregoneschi vennero considerati indotti da sostanze allucinogene e da malattie mentali.

FRATE FRANCESCO D’ARQUATA

Nell’anno 1354 furono bruciati sul rogo, nella piazza di Avignone davanti al Palazzo dei Papi, fra’ Giovanni da Castiglione e fra’ Francesco d’Arquata. Quest’ultimo era un laico, converso, dell’ordine dei minori francescani, originario proprio di Arquata del Tronto.

Francesco d’Arquata, insieme al confratello, andava predicando un ritorno alla povertà indicata dal fondatore del suo Ordine, Francesco d’Assisi.

La predicazione dei due avveniva nella zona di Montpellier, sede di un’importante università voluta dal papa ascolano Niccolò IV. Le critiche sferzanti al lusso della corte del pontefice avignonese non potevano essere accettate dalle gerarchie, che ordinarono l’arresto dei sovversivi e la loro traduzione nel carcere di Carcassonne. Poco tempo dopo, ebbero l’ardire di ripetere le loro critiche di fronte al Papa stesso, aggiungendo, cosi che non si avessero dubbi sul loro pensiero, che essi ritenevano eretici ed illegittimi tutti i papi da Giovanni XXII a Innocenzo VI: la strada per il rogo era spianata! I due frati furono consegnati al braccio secolare nel 1354. Ancora il De Santis ricorda che la morte dell’arquatano fra’ Francesco e del suo compagno fra’ Giovanni fu eroica; lo storico scrive, infatti, che mentre andavano al supplizio, cantavano a voce alta il Gloria in excelsis Deo. Spente le fiamme del rogo, essi furono detti veros martires dalla voce del popolo, che cercò tra i tizzoni ancora caldi le loro reliquie, prima che gli addetti disperdessero le ceneri nelle acque del Rodano.

In tempi recenti, Francesco d’Arquata ha meritato una citazione nel famosissimo romanzo di Umberto Eco, “Il Nome della Rosa” (citato come Francesco d’Ascoli in quanto la diocesi di appartenenza di Arquata era allora Ascoli).

 

 

 

LA STREGA DI TUFO

La prima condanna al rogo risale al 1275, al termine di un processo tenutosi a Tolosa, in Francia; gli ultimi processi per stregoneria si tennero nel 1700. Anche in Italia era pratica diffusa l’istituzione di procedimenti contro persone sospettate di essere streghe. Uno di tali processi avvenne nella Diocesi ascolana e precisamente nella località di Tufo, situata sulla vecchia strada Salaria.

Il 13 settembre 1573, il vescovo Maremonti compi una visita pastorale nella Villa di Tufo, che allora contava 60 fuochi, cioè nuclei familiari. Gli abitanti del villaggio accusarono di stregoneria una donna che operava malefici, tale Magdalena, figlia di Giovanni Clemente. II prelato incaricò Felice Blasi, vicario foraneo di Arquata, di svolgere indagini e di inquisire la suddetta.

Dagli atti del processo, redatti dal giudice e notaio Fabrizio Lucio, presente agli interrogatori, appare una realtà di emarginazione e di solitudine e di paura del “diverso”; questo si evidenzia bene da alcune testimonianze che riprendiamo da articoli del De Santis e del Bucciarelli.

La prima è di Crucianus Caroli de Villa de Tufo …che esso testimonia c’ha inteso dire pubblicamente quasi dalla maggior parte del popolo di Tufo che Magdalena di Giovanni Clemente del Tufo è strega et che più volte è andata a stregoneria et ha inteso dire a Arguila moglie di Berardino Chiapino ch’una notte gl’entrò in casa et aveva una creatura piccola et che volendola essa pigliare se n’usci sotto l’uscio et non la potte tenere.

II fatto viene confermato dalla testimonianza di Arguilla che … giacendo canto al fuoco a dormire ‘na sera su le tre o quattro hore di notte, svegliandosi aveva inteso un certo rumore per casa e, nettandosi gli occhi vedde quando una donna gli era venutagli innanzi e rizzandosi per voler pigliarla pensando certamente che fosse strega, gli fuggì dinanzi et usci di sotto all’uscio et si fece vento.

E’ ancora Crucianus … ch’ha inteso dire dalla maggior parte del popolo predetto che una volta donna Magdalena andò di notte a una cotta di carbone che faceva Berardo nella selva et con un mazzo gli voleva guastare detta cotta et in questo Berardo la pigliò per le trecce et essa donna Magdalena gli promise un paio di calce…

Moscatelli Domenico de Villa Capitis Aquae (fraz. Capodacqua) riferisce una tra l’altre andò a casa di Monte di Villa Nova ch’ora abita 1ì in Capo d’Aqua et aveva una creatura, et che gli levo quella creatura dal letto et che madre accorgendosi subito si levò, et cominciò a stridere et che questo la lasciò et deppoi ne fu sparsa la fama, et fu detto per cosa certa che era stata essa donna Magdalena et tanto si diceva di tutto il popolo di detta Villa et questo disse esser la verità.

Un altro teste capodacquano, tale Francesco Calandrea, dichiarò che …s’e detto ch’e entrata in molte case questo anno la strega ma non conosciuto chi sia ma sicuramente è Magdalena essendo che nella nostra Villa non si presuma che ci sia altra strega di lei.

Infine, un teste “a discanco”, Berardo Petrangeli di Tufo che riferì di conoscere bene Magdalena definendola una mala femina e spiegando che i compaesani la ritenevano una strega perché va vagabonda e non se ferma mai.

Non si conosce l’esito del processo ma nel complesso le testimonianze non erano tali da poter condannare al rogo la povera Magdalena.
Nel Sinodo del 1595 il cardinale Berneri escluse la presenza di fatti di stregoneria nella diocesi di Ascoli, pertanto si può ipotizzare che il processo sia terminato con l’assoluzione (probabilmente per insufficienza di prove) della presunta strega.

(tratto da “Arquata del Tronto – il Comune dei due Parchi Nazionali (Galié – Vecchioni)”

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